Le cose che perdiamo trovano sempre il modo di tornare da noi. (J. K. Rowling)
Il lutto è il sentimento di profondo dolore che si prova per la morte di persone a noi care.
La parola deriva dal latino luctus, "pianto".
Il pianto è la prima modalità espressiva non verbale dell’uomo.
Esso ha una funzione limite tra il corpo e la psiche, ossia è una difesa somatica che viene utilizzata anche dalla psiche.
Il pianto ha la funzione di ridurre il dramma della crisi di presenza connessa all'angoscia di separazione e serve a liberare lo strazio per la perdita dell’altro, nonché di una parte di sé come persona degna d’amore.
La tristezza del lutto distacca le cose dal presente, offuscandole allo sguardo con un velo di lacrime, sospingendole piano nel passato per lasciare campo libero al futuro.
Il lutto inoltre può essere considerato un periodo di assestamento dovuto a una morte o a una perdita significativa, che ha determinato un cambiamento nella vita della persona, sconvolgendone pensieri ed emozioni.
Questo momento si scinde in due volontà diametralmente opposte: l’esigenza di procedere oltre, ma con la volontà di mantenere l’esclusività del rapporto perduto.
Essa potrebbe quindi essere considerata un’esperienza evolutiva di ogni singolo essere umano che si trova, in modi e in tempi diversi, ad affrontarla.
Il lutto apre infatti a una ferita, il cui processo di cicatrizzazione e di guarigione richiede tempo e fatica.
Ogni lutto è diverso, ma tutti sono accomunati da un processo di elaborazione che si sviluppa per fasi, spesso sovrapposte, che variano d’intensità, sfumandosi nella loro durata e ripetendosi nel tempo:
1. Fase della negazione o del rifiuto.
2. Fase della rabbia.
3. Fase della contrattazione o del patteggiamento.
4. Fase della depressione.
5. Fase dell’accettazione.
Il viaggio lungo la sua strada parte generalmente dalla negazione dell'avvenuta perdita, per transitare a uno stato di accettazione in cui quest’ultima viene ammessa, per approdare, infine, alla reale e definitiva separazione.
Nella prima fase la sensazione è quella di aver subito un trauma, una “percossa”: si alternano momenti di rifiuto di quanto è accaduto a istanti di distacco dalla realtà e di profonda tristezza.
In base all'intensità del legame affettivo interrotto e alle modalità di elaborazione, questo processo può avere durata e complessità variabile. L’esperienza psicologica in questione è inoltre influenzata da molteplici fattori:
- la modalità del decesso (improvviso o atteso, in quale luogo);
- le circostanze della malattia (durata, presenza di sintomi dolorosi, ospedalizzazione, stato di coscienza presente o meno);
- gli elementi personali e relazionali di chi subisce il lutto (età, ruolo all'interno della famiglia, qualità della relazione);
- le risorse interne e ambientali.
Il percorso di elaborazione è caratterizzato da antitetiche reazioni emotive, tuttavia necessarie a mantenere e preservare l’integrità psicologica e ad avere un chiaro accesso al dolore.
Procedere attraverso le sue fasi e stati d’animo risulta indispensabile, altrimenti il soggetto può trovarsi “congelato” all'interno di tali reazioni e andare così incontro all'impoverimento del proprio stato emotivo.
Ogni separazione è intrinsecamente coinvolta nel dolore e si presenta sempre quando si lascia qualcosa di importante, poiché significa che l’Io è in grado di riconoscere il nesso significativo perduto.
Tutti gli eventi possono comportare uno stravolgimento dell’immagine di sé e una perturbazione emotiva, sia essa reale o solamente percepita.
Non è possibile infatti classificare e decretare un avvenimento maggiormente stressante di altri, poiché la sua intensità dipende da chi lo vive e da come viene vissuto.
Una crisi affettiva, un divorzio o l'abbandono di una relazione significativa possono di conseguenza essere ritenuti dolorosi indipendentemente dal fattore scatenante, a volte del tutto interno all'individuo. Quando però la perturbazione emotiva permane senza che venga risolta con una nuova articolazione, essa può contagiare diverse situazioni di vita, concorrendo alla svalutazione dell’individuo stabilendone un' “autosqualifica”.
Il tono emotivo che ne risulta, coerente con l’importanza di tali perdite, non può essere altro che la tristezza. Se accade questo, il soggetto rimane in una sorta di indeterminatezza in cui la conoscenza di sé e delle dinamiche affettive che lo costituiscono, ossia la causa del malessere, divengono difficilmente accessibili.
L’evento doloroso suscita infatti sentimenti e pensieri discordanti e se il soggetto non accede al processo di elaborazione, può giungere a una vera e propria sintomatologia, organizzata su meccanismi e reazioni difensive più o meno inconsce.
Essi possono condurre il soggetto ad assentarsi e allontanarsi dal percorso diretto verso un punto conclusivo, come nel caso in cui la perdita venga congelata, svalorizzata, negata o proiettata.
L’elaborazione in questi casi non riesce e il distacco dalla persona viene abortito.
Il soggetto può inoltre allontanarla dalla realtà e sostituirla, o sovrapporla, nel proprio mondo interno con un'altra relazione affettiva. Egli inoltre può rifiutarsi di parlare dell’accaduto per procedere altrove o può evitare o immobilizzare luoghi e oggetti di vita lasciando tutto immutato.
Ciò può comportare problematicità nel ritrovare le coordinate conosciute, sia interne che esterne, e indebolire temporaneamente le capacità di concentrazione e programmazione.
La necessità di contenere il dolore e rendere tollerabile la scomparsa può spingere anche a mettere in atto comportamenti reattivi, volti a spostare altrove il contatto con il vuoto fisico ed emotivo provato.
Spesso si adottano atteggiamenti che portano a incanalare le risorse verso un incremento di attività lavorative, o verso nuovi progetti personali. Questi nuovi investimenti sono funzionali per confondere e stemperare la tristezza e per perseguire la ricerca di risposte e ragioni che restituiscano un senso, una momentanea giustificazione alla perdita subita.
L’elaborazione viene risolta quando si riesce a oltrepassare il tormento emotivo: grazie all'accettazione e riconoscimento del dolore è possibile ammettere il vuoto e salvaguardare in sé le caratteristiche e gli elementi positivi della relazione.
Per comprendere le radici del dolore, per analizzare perché si vive un allontanamento come abbandono o come rifiuto, per sperimentare che le emozioni spiacevoli non allontanano dal nodo del problema, occorre imparare a utilizzare il tempo.
Il tempo risulta infatti funzionale a superare il dolore quando esso viene attraversato, quando si contatta il momento in cui c’è stata quella frattura antica che impedisce di vivere il momento presente senza caricarlo dei propri fantasmi.
Poiché i rapporti umani sono vitali per “significare” l’esistenza, elaborare un'assenza vuol dire anche riuscire a mettere in parola la sofferenza per cogliere l'autenticità di ciò che è stato vissuto, astraendo dalla relazione il suo valore più profondo, al fine di convertirlo in un atto di guadagno.
Dr.ssa Cecilia Bertolaso
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