La politica della soggettività

Non rinunciate mai, per nessun motivo, sotto qualsiasi pressione, a essere voi stessi. (A. Manzi)

L'imperativo socratico del “Conosci te stesso” è antichissimo.

Dentro la nostra mente convivono più Io.

Io buono e Io cattivo.

Io coraggioso e Io pauroso.

Io razionale e Io folle.

L’Io che si "mette in immagini" e si racconta nei nostri sogni.

Ognuno di loro ha i suoi concetti, le sue idee, i suoi sentimenti, i suoi bisogni e le sue aspettative.

I nostri Io possono essere paragonati a dei politici.

Quando dobbiamo prendere una decisione si riuniscono nel nostro parlamento interiore e ognuno cerca di convincere gli altri Io che le sue proposte operative sono le migliori.

Nascono così i conflitti interiori.

Avere dei conflitti è sano e funzionale per non cadere in una dittatura psicologica.

Se così non fosse infatti un unico Io prenderebbe sempre il controllo della situazione, attuando sempre la stessa decisione, seguendo sempre la stessa via, portandoci incontro al deserto della nostra vita psicologica ed emotiva.

I conflitti presi in sé non sono fastidiosi, ciò che li rende tali è l’ansia che a essi associamo.

Il timore di sbagliare, di essere giudicati, di essere rifiutati accade perché siamo moralmente indipendenti ma al contempo dipendenti dall'approvazione degli altri.

A volte non siamo noi a prendere le decisioni, ma sono state le decisioni a prendere noi, costringendoci a dei cambiamenti forzati. 

Per tale ragione fin dall'infanzia ci siamo adattati a un mondo che, a torto o a ragione, ci è apparso difficile e talvolta ostile. Perciò abbiamo sviluppato degli atteggiamenti che, quando si sono rivelati efficaci, si sono radicati in noi diventando degli Io-comportamenti e Io-pensieri che a fatica riusciamo a mettere in discussione e che limitano la nostra capacità di sentire, di riflettere e di agire.

Ansiogenizzati dai mezzi di comunicazione, dalla pressione economica, dai ritmi di lavoro, dalle scelte affettive, ci siamo moltiplicati in tanti Io per fronteggiare e, talvolta, evadere dalle abitudini che noi stessi abbiamo creato e che formano la nostra personalità visibile con la quale ci identifichiamo.

Ci ostiniamo a proteggere noi stessi e la nostra immagine ideale mediante la razionalizzazione e diventiamo abili nel congelare situazioni spiacevoli e nel fuggire dalle emozioni dolorose, fintantoché non emergono forme d’ansia, sbalzi di umore, preoccupazioni ricorrenti, somatizzazioni e insoddisfazioni sessuali.

Sono tutte strade e modalità attraverso cui i nostri Io prendono parola e chiedono di essere visti e ascoltati.

Individuare questi Io e i loro schemi ripetitivi aiuta a comprendere le motivazioni inconsce e le ragioni coscienti che hanno contribuito alla loro formazione.

Quando uscirò dal paese della negazione?

Quante volte ancora sposterò nel tempo un confronto o una decisione?

Quante volte imbroglierò il gomitolo mentre cerco di dipanarlo?

Non si tratta di annullare se stessi, semmai di integrare e ricompattare la propria soggettività.

La conoscenza è essenziale non tanto per cambiare, quanto per trasformarci e per farlo non dobbiamo uscire da noi, ma autorizzarci a entrare dentro di noi.

In quei luoghi dove le parole diventano intime e fragili, dove tocchiamo con mano la vulnerabilità, dove la ragione non ha più la stessa tenuta e in cui incontriamo le parti "messe in ombra" della nostra personalità.

La psicologia è uno spazio riservato a questa forma di apprendimento, uno strumento con cui si impara a riconoscere la disfunzione (sofferenza) e a trasformarla in funzione (serenità).

Dr.ssa Cecilia Bertolaso