La mia pancia è tutto il mio mondo, la mia testa la mia eternità, e le mie mani due magnifici soli. Le mie gambe sono i dannati pendoli del tempo e i miei piedi sporchi i due eccellenti fondamenti della mia filosofia. (I. Bergman)
La referenza della propria identità si muove nella dialettica e nel bilanciamento di due funzioni: identificazione e separazione.
L’equilibrio che l’individuo è stato in grado di costruire fra questi due processi psicologici risponde a una domanda in fieri di riconoscimento rivolta all'Io.
Attraverso il percorso di individuazione la persona arriva a somigliare a se stessa, unica nel nome, nel corpo, e nel vissuto.
Essa è in grado di plasmare una propria azione di vita attraverso ricalchi e appartenenze, che le permettono, almeno parzialmente, di individuarsi come soggetto.
La separazione, di contro, è una funzione psichica e corporea connotata in sé da una paradossalità: il soggetto è slegato dagli affetti e dagli oggetti che lo circondano, ma non è mai diviso da essi se lo consideriamo in relazione all'ambiente e alla propria storia.
L’individuo quindi è separato e nel contempo non lo è mai del tutto, in quanto rimane “impastato” in un vincolo relazionale con l’altro e con l’esistenza.
Per sua natura egli è in perenne movimento, perché coinvolto negli eventi, in un “destino” che dentro di lui non si compie mai del tutto.
La fecondità dei processi di individuazione e separazione si assolve nell'esperienza della perdita.
Individuarsi “in” e “separarsi “da” sono il risultato di un paradigma flessibile, nel quale ogni età si costituisce “con” e “attraverso” un perdita, che scandisce il passaggio da uno stadio all'altro, accordandosi in altrettante connessioni e appartenenze.
Ogni direzione rappresenta simbolicamente una "sosta" in cui il soggetto ha modo di riformulare una posizione psichica e corporea.
Questo “tempo” può arrecare incomodità e disagio fino ad attuare una stasi nella coazione ripetitiva. Coazione a ripetere lo “scacco”, il “tratto”, il “marchio” che contraddistingue un ferita originata precocemente nell'infanzia e che tutt'ora continua ad esistere.
Ogni ferita, tramite i modelli di attaccamento e le difese, manovra la destinazione degli affetti attribuendo a ciascuno la propria singolarità.
Gli studi, le ricerche ed i risultati clinici ci informano sul ruolo primario che questi processi rivestono nel funzionamento psicologico dell’antropogenesi umana.
La perdita è l’esperienza che ristabilisce i bisogni di appartenenza a un “insieme” a cui voler ritornare, ma individuarsi è recidere quel cordone che si è saldato in quel sentire comune.
Dentro di noi convive infatti la duplice volontà di amalgamarsi in un sé indistinto e di concretizzarsi in un sé distinto.
Ciò potrebbe spiegarsi adottando la convinzione che gli altri sono anche la firma e la memoria di numerosi passaggi relazionali avvenuti dentro di noi, a cui restiamo inevitabilmente legati.
Il risultato di tali processi pertanto non restituisce solo una mancanza, ma libera una superficie di apprendimento, che rende possibile l’accesso ad un’autentica comprensione di sé.
L'identità dunque si muove e si realizza continuamente lungo un filo rosso esperienziale, su cui i nostri nodi problematici coesistono l'uno accanto all'altro, accompagnandoci nelle scelte cruciali della vita.
In proposito si nota che se tali nodi non vengono elaborati e il dolore non viene accolto e ascoltato, possono verificarsi alcuni scivolamenti verso personalità falsate, che possono ridursi ad una fissazione di uno stadio evolutivo, o alla manifestazione di una patologia: una sorta di aut-aut che palesa l’incomunicabilità fra psiche e corpo.
In questi casi nel corpo può insorgere l’eco di una sintomatologia: si dice perciò che il corpo ha “tradito”, intendendo il tradimento come un lapsus reale di quel sintomo, che si è “messo a parlare da solo”, senza che l’Io acconsentisse l’articolazione di quel suono.
“Perdere crescendo” è il tributo che si paga per i propri attaccamenti, ma è anche la progressione che spinge ad amare con qualcosa in più dentro, in seguito ad ogni incontro, introspezione e cambiamento.
L’individuo è l’addizione delle persone che vive e la somma di quelle che ha vissuto.
I soggetti sono ogni volta Io in differenti gradi di presenza e di ricordo e l’identità scorre lungo un percorso dinamico e dialettico, di continuo ascolto.
Le piccole unioni e separazioni ci allenano e ci preparano ad affrontare le manovre più grandi.
Ogni scelta contiene elementi di luce e di fecondità, ma anche l’ombra del disappunto per tutto ciò che non si è scelto o non è stato possibile conoscere o condividere.
Ci si illude di poter conseguire la felicità senza imbattersi nella tristezza, senza appropriarci delle difficoltà dell’avanzare dell'età, o dell'empasse di un momento. E per tali ragioni ci proteggiamo con delle corazze e delle difese, che assomigliano più a delle barriere che a dei mulini a vento.
La vita è contrassegnata dal senso di infinità e di limite che ne registrano e colorano ogni esperienza, e l’Io non è il suo atto narrativo, bensì il suo intessuto compito.
Dr.ssa Cecilia Bertolaso