Le ferite relazionali

Attraverso gli altri diventiamo noi stessi. (L. S. Vygotskij) 

Se le nostre ferite potessero parlare, cosa direbbero di noi?

Esse parlerebbero della paura di soffrire, della volontà di dimenticare il dolore e di risalire la corrente della dipendenza, dell’immaturità, dei sentimenti taciuti, della negazione difensiva dei reali affetti ed emozioni, della voglia di ricominciare e di cambiare.

Che tipo di dolore nascondono queste ferite?

Esse celano un dolore di natura relazionale che fa ancora più male in quanto originatosi per mano di un’altra persona.

La sofferenza psicologica si manifesta in forme e intensità che differiscono da persona a persona e che sono legate alla storia di vita e al carattere, poiché ognuno ha il proprio modo di legarsi, di rispondere e di vivere un rapporto.

Le relazioni sono la nostra atmosfera, il loro andamento condiziona il nostro sentirci sereni o disperati, soddisfatti o confusi e testimonia ciò che avviene dentro di noi.

Ogni volta che abbiamo a che fare con le persone il nostro sistema emotivo si attiva: il coinvolgimento affettivo tocca le corde dell’attaccamento e ha la capacità di portare in superficie problematiche antiche che affondano le proprie radici nel passato, ma che continuano a esercitare un'influenza nel momento presente.

Buona parte della psicologia ci invita a fissare alcune pagine dell'infanzia come se l'amore genitoriale sia stato l’unico in grado di offenderci e di cambiarci, senza prestare troppa attenzione al nuovo contesto relazionale in cui viviamo oggi.

Di fatto gli amici e il partner sono le nostre libere scelte, le nuove persone di riferimento e investimento affettivo, che prendono il posto delle figure di attaccamento primario.

Eppure guardiamo alle ferite cercando nel passato l'origine del nostro malessere, piuttosto che responsabilizzare le decisioni che compiamo nel presente per adattarci agli altri e le dinamiche relazionali che attuiamo ogni giorno per tenerle in vita.

Noi non ce ne accorgiamo, ma la tendenza umana è quella di usare la relazione per ricevere ciò che ci è mancato e ciò che ci manca, con la speranza di essere "riparati" ottenendo quel pronto soccorso emotivo e quelle risposte affettive che ci scaldano e ci difendono dai nostri contenuti psicologici angoscianti.

In proposito succede che le ferite giochino a nascondino ponendoci di fronte a nuovi distacchi, momenti di disaccordo e di allontanamento, ossia situazioni che ci rievocano qualche precedente esperienza negativa: un “no” ricevuto dalla persona che ci piaceva, un blocco durante il percorso scolastico, una delusione lavorativa, in cui percepiamo lo stesso senso di distanza, di non riconoscimento, di poco amore e di tristezza.

In tutti i rapporti significativi infatti si giocano moltissime proiezioni di parti di noi inconsapevoli che tentiamo di tenere insieme con un enorme sforzo: quella paura, tristezza, rabbia, vergogna, colpa fortemente radicate in noi, che nel momento in cui incontriamo gli altri si rendono visibili, rendendosi un po’ più visibili anche a noi stessi.

Quasi senza accorgercene diventiamo scostanti, intoccabili, lontani dalle nostre radici emozionali; si chiude la comunicazione con il corpo e i muscoli si irrigidiscono per trattenere le emozioni.

Al contrario, per paura di romperci diventiamo timorosi e dipendenti e ci accomodiamo in relazioni simbiotiche in cui ci sentiamo sicuri. 

Oppure ci priviamo del piacere e ci autoinfliggiamo continuamente sofferenza per far tacere e allontanare un dolore più grande.

Ogni ferita nasconde una domanda d’amore, ma allo stesso tempo ci distanzia dall'invadenza dei sentimenti, dall'esporci al rischio di soffrire ancora.

Dr.ssa Cecilia Bertolaso