L'opera di sabotaggio del senso di colpa.

La capacità umana di provare senso di colpa è tale che le persone riescono sempre a trovare il modo per incolpare se stesse. (S. Hawking)

Il senso di colpa, seppur al centro di numerosi disturbi emotivi, è un sentimento di responsabilità che partecipa alla costruzione dell’etica personale. Esso quindi è funzionale e adattivo perché contribuisce all'affermazione della propria individualità.

Quando da dialogo interno positivo diventa uno stato mentale di immotivata colpevolizzazione e autopunizione assume le sembianze di un sabotatore, di un mangiatore di autostima.

Il senso di colpa morale

Solitamente il senso di colpa nasce da un devo che ha a che fare con un sistema di regole e valori più o meno condivisi di comportamento sociale.

Sin dalla prima infanzia siamo cresciuti con dei messaggi, di cui non potevamo essere pienamente consapevoli, una serie di norme, divieti, ordini e retaggi culturali che abbiamo assorbito e interiorizzato, che vanno a costruire il nostro Super - Io.

Nella teorizzazione freudiana il Super - Io rappresenta quella parte di noi che, influenzata dall'esterno, ci fornisce le regole del gioco e i comandamenti morali, quindi i confini entro cui muoverci, contrapponendosi all'Es che simboleggia di contro la forza e la spinta propulsiva verso il piacere.

Tali condizionamenti vengono trasmessi, di generazione in generazione, da genitori, insegnanti, educatori, sacerdoti e da tutti coloro che hanno voce nei processi educativi, come strumento di controllo e influenza sulle volontà familiari e sulle “linee guida” morali della società.

Queste doverizzazioni vengono apprese per modellamento sociale e iniziano a crescere dentro ognuno di noi sotto forma di principio di approvazione - disapprovazione, reale o immaginario, di qualcun altro, che viene gradualmente codificato come paura del giudizio o della critica.

Trasgredirli molto spesso significa infatti tradire le aspettative parentali e del gruppo di appartenenza.

Per tale ragione è il timore di essere disapprovati che ci tiene legati ai sensi di colpa e questa tendenza verrà generalizzata e adattata al contesto di riferimento affettivo e lavorativo, per cui la persona dovrà puntualmente fare i conti con una serie di sensi di colpa, quando ad esempio dovrà dire dei no, affermare le sue idee, compiere piccole e grandi scelte quotidiane.

Si agisce così nel tentativo di rimanere fedeli e vicini a quel modello di perfezione che ci portiamo dentro e nei confronti del quale abbiamo imparato che tutto si deve adeguare.

Talvolta forziamo noi stessi a essere più compiacenti e tolleranti per accontentare gli altri trascurando così il nostro amor proprio; tale forzatura viene attuata mettendo da parte la rabbia e le emozioni negative che essa comporta, per paura dell’abbandono, del rifiuto o per il timore di essere giudicati.

La preoccupazione di cambiare o di perdere i legami affettivi ci impegna in un conflitto interiore che indebolisce l'autostima e attiva la necessità psicologica di conformarci ai bisogni e richieste altrui. Questo accade perché ciò che fa più soffrire le persone è non sentirsi accettate dagli altri, o da un contesto, per la loro individualità. 

Tuttavia contravvenendo ai comandamenti del proprio desiderio si finisce per farsi incolpare dal proprio “giudice interiore”, alimentando la svalutazione personale.

Il trasferimento di colpa

Ci portiamo dietro un bagaglio di teorie, convinzioni e ideali su chi dovremmo essere, cosa dovremmo fare, e soprattutto cosa dovrebbero fare gli altri. Quest’ultima convinzione cerca di abbattere il meccanismo automatico che molti individui usano per discolparsi, per il quale sono molto più severi nei confronti degli altri piuttosto che nei confronti di se stessi: a noi giustifichiamo tutto, agli altri non perdoniamo niente.

È il caso della personalità vittimistica, che si pone in una posizione di pressante lamento e difficoltà, per indurre l’altro a sentirsi in difetto e tenerlo legato a sé, o di una persona che non ha attuato un perdono e cerca continue conferme della propria superiorità morale facendo sentire l’altro spesso inadeguato, impedendogli anche in questo modo la separazione.

Le dinamiche del senso di colpa sono più evidenti nel rapporto di coppia e con i genitori, relazioni dove predomina la naturale ambivalenza sentimentale, dove capita spesso che si usi inconsciamente la strategia di far sentire in colpa l’altro. 

La ragione per cui si cerca di innescare tale processo è che esso è uno dei possibili punti di ingresso per controllare il comportamento altrui, influenzandone in questo modo le decisioni.

Esso agisce come una leva che muove un'azione corrosiva nella mente dell’altro, portandolo a pensare che in qualche modo non vada bene, che sia solo sua la responsabilità del malessere del rapporto.

Quando il senso di colpa predomina in una relazione, la comunicazione diventa nociva: arrivano le parole e il silenzio taglienti e le critiche malvagie. I sentimenti vengono depotenzianti dalla paura e sporcati dalla rabbia.

Le frasi provocatorie o i silenzi intimidatori, piccoli o grandi che siano, mettono un peso a tempo indeterminato nei pensieri che scompensa l'equilibrio del rapporto.

L'immagine di se stessi viene così svalorizzata nella misura in cui per ottenere approvazione e riconoscimento ci si adegui a un certo dover essere, a un modello ideale chiesto dall'altro o dalla famiglia.

Le vittime di questa sorta di ricatto alimentano un risentimento che se in prima battuta le incolla alla relazione, col passare del tempo le motiva ad allontanarsene emotivamente.

Dr.ssa Cecilia Bertolaso


F. Gazzillo, I sabotatori Interni, Raffaello Cortina, Milano 2012